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Musica

Andrea Mele – “DREAM”

«The telescope was invented in 1608 by a Dutch lens grinder, Hans Lippershay. One day Lippershay discovered accidentally that by putting lenses at both ends of a tube and then putting the tube up to his eye, he could view things “close up”. He called his device a looker, and thought it would be useful in war. Galileo got hold of one, improved it a little, and then used it himself to challenge prevailing ideas about the solar system. This music is dedicated to the spirit of Galileo.»

Sono le note di copertina di “Aerial Boundaries”, di Michael Hedges. Do per scontato che chi legge questa recensione sappia di cosa sto parlando, ma, nella remota ipotesi che ciò non fosse, “Aerial Boundaries” è un’opera meravigliosa, di sola chitarra acustica (o quasi), di un chitarrista, musicista, artista, genio, innovatore, maestro indimenticato e scomparso troppo presto, lasciando un vuoto incolmato (incolmabile) e un’eredità immortale.
Chi mi conosce sa che non mi esalto facilmente per un disco, soprattutto se di sola chitarra. L’ultima volta risale a “Intuite”, di Pierre Bensusan. Il che, credo, è tutto dire. Pierre, per fortuna, è ancora vivo, ma gli aggettivi che ho snocciolato per Hedges vanno bene anche per lui. Di nuovo, invito chi non lo conoscesse a documentarsi: ne vale la pena.

Altri dischi sono stati ‘recensiti’ su queste pagine, ma davvero pochi, e mai di sola chitarra. Già questo, assieme all’altisonante introduzione, dovrebbe dare un’idea di quanto mi piaccia “DREAM”, ma voglio approfondire un po’, perché merita.
Andrea è un bravissimo chitarrista, con un suono grandioso e una tecnica sopraffina, anche se quello che mi ha colpito di più è la sua capacità di creare composizioni vive, ampie, autentiche, evocative, universali. Come il telescopio per Galileo, citato sopra, la chitarra per Andrea Mele è ‘solo’ uno strumento, usato per immaginare, dipingere, descrivere ed esplorare il suo mondo, consegnandocelo con umiltà, così che possa diventare un po’ anche nostro.
La sua musica è piena di colore, energia, delicatezza, amore, gioia, lacrime, movimento e passione. Come l’opener “Jentu”, che si apre con un ostinato quasi percussivo per poi diventare una corsa a perdifiato tra le campagne salentine. Oppure “Rose”, dalla melodia struggente, indimenticabile, e un intreccio chitarristico profondamente narrativo, forse la mia preferita del lotto. “Dancing with my 6strings” ha ritmi quasi sudamericani, e “Treno per la Luna” ci porta davvero lassù, grazie a un uso sapiente degli effetti e un cantato molto onirico.
In chiusura cito “Patchouli”, la splendida “Elena”, suonata con una 12 corde, e la brevissima “Kalimba” che ogni volta mi fa venire voglia di prendere in mano la chitarra e suonare assieme ad Andrea, col sorriso sulle labbra.

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