Spesso mi sono sentito e mi sento dire che, in inglese, per dire ‘suonare’ e ‘giocare’ si usa lo stesso verbo. E, sempre, questa affermazione è (stata) accompagnata da commenti positivi e quasi ammirati, che sottolineano la gioia e la spensieratezza con cui questo popolo si approccia alla musica. La lingua inglese non è l’unica a presentare questa caratteristica: mi vengono in mente il tedesco ed il francese, e chissà quante altre ce ne sono.
In italiano no. Noi siamo di tutt’altra pasta. Suonare è una cosa seria, giuocare è ben altro. A ben vedere, con la tradizione che abbiamo alle spalle, tra compositori, scuole, bel canto e chi più ne ha più ne metta, in Italia sono state scritte pagine importantissime della Storia della Musica, e quindi questa netta separazione, anche lessicale, ci sta.
Ma allora com’è che, proprio in Italia, la professione del musicista è praticamente inesistente? Perché quando dici che fai il musicista non ti prendono mai seriamente?
Attori inconsapevoli lasciano tracce indelebili sulla nostra anima, e poi scompaiono. Scelgono di scomparire, o chissà.
Vorrebbero essere dimenticati, probabilmente, come un attore detesta le proprie interpretazioni mal riuscite, così a loro non piace che venga ricordato quel pezzo di vita che hanno in comune con noi.
O magari, invece, sappiamo perfettamente (speriamo?) che, abbandonando in quell’istante, saremo per sempre ricordati, amati, temuti, derisi, sospirati. Accolti con un sorriso.
Oggi sono felice, perché ho ritrovato i vecchi post di questo blog, che credevo di aver perso irrimediabilmente.
Ho trovato anche questa cosetta qui, una bozza sperduta. Sarà la gioia del ritrovamento, sarà il periodo un po’ particolare, però mi ha colpito, e la voglio condividere.
~
Sapeva stare nelle tue mani, il gioco
di noi, sapeva volare in alto.
Galleggiare sul piccolo fiato
condensato davanti alla bocca.
Sapeva, nel buio, gioire.
Frankenstein Rooster: disco dell’anno?
Raffaello Indri è un grandissimo chitarrista. È anche un ottimo amico, e di questo vado fiero, ma per oggi, per questa recensione, Raffaello sarà soltanto (sic) un grandissimo chitarrista. Recensire l’opera di un amico è un po’ camminare su un terreno minato, i passi falsi sono facili, e si rischia di essere troppo indulgenti, ma io sono rimasto talmente colpito da questo disco che ho bisogno di condividere, e mi prenderò le mie responsabilità. “The Mutant Tractor” è un album di sano e robusto hard rock strumentale, in cui la chitarra la fa da padrona, e Raffaello dilaga in ogni dove, elargendo classe e gusto a piene mani. Ma è anche, e soprattutto, un disco in cui si respira una incontrollata e coinvolgente aria di divertimento. Scorre via che è un piacere, e quando arrivi alla fine è un gesto naturale farlo ripartire senza por tempo in mezzo! È fresco, vario, vivo. Ti fa stare bene.
Il progetto Frankenstein Rooster, a onor del vero, non è tutta farina del sacco del buon Indri, ma nasce dalla collaborazione con Marco Celotti, già chitarrista e cantante di Newborn (ottima band friulana), Invivo e Streamline, che non esito a definire una promessa, bravo e talentuoso (suo anche lo splendido artwork del cd), e al quale vanno i miei più sinceri complimenti per il coraggio e la punta di incoscienza con cui è riuscito a trascinare Raffaello verso territori per lui inusuali, facendogli abbandonare la cupezza, l’intransigenza metallona e l’immaginario gotico/horror dietro cui fin troppo spesso si trincera.
Una resistenza rimane, di fondo, infatti loro lo chiamano ‘rock agricolo’, etichetta che – sia ben chiaro! – detesto cordialmente, in quanto la trovo riduttiva ed inadatta, ne parlano con il sorriso sulle labbra, si prendono poco sul serio, celiano, infarciscono i titoli di termini friulani più o meno dissimulati, personaggi strampalati e giochi di parole. Ma per fortuna la musica va oltre le etichette, e, quando i Frankenstein Rooster suonano, non c’è frico che tenga, e non possiamo fare altro che lasciarci travolgere dall’energia, dalla melodia e dal calore di cui sono capaci.
Completano la formazione l’ormai inseparabile, inossidabile, ineffabile e imbattibile batterista Camillo Colleluori (già con GardenWall, Burnin’ Dolls e molti altri), ed il bassista Gianmarco Orsini, del quale purtroppo non so molto, ma che offre una prova solida e decisamente convincente.
Non è una recensione
No, non ho tempo di scrivere una recensione, però mi va di consigliare questo interessante saggio di Alessandro Baricco, scrittore che conoscevo (ed apprezzavo) solo come romanziere.
In effetti la scrittura è la sua, ti prende per mano e ti porta dove vuole, senza che tu possa nemmeno immaginare di fare resistenza. Di cosa parla? Di come i tempi siano cambiati, e stiano tuttora cambiando, e di come il processo non debba essere demonizzato a tutti i costi. Perché questi barbari, tutto sommato, i loro lati positivi ce li hanno, e perché non mirano a distruggere tutto quello che incontrano sul loro cammino: semplicemente abbandonano quello che non riescono a capire, e che non serve loro. Non so dire se abbia ragione o meno, ma di certo qualcosa si muove, tant’è vero che più di una volta, nella prosa di Baricco stesso, ho ravvisato i sintomi di un certo imbarbarimento.
Ivan Segreto
Venerdì scorso sono stato a sentire Ivan Segreto. I concerti belli durano sempre troppo poco, così si dice. Ivan è un cantautore ed un pianista d’estrazione jazz molto bravo. Siciliano di nascita, milanese d’adozione (come si dice), scrive e suona della musica molto originale, diversa. Prima sfuggente, obliqua, quasi sbilenca, difficile e poi improvvisamente calda, scorrevole, aperta, piena ed emozionante. Si ascoltino ad esempio “Dondola”, o “Ampia”, dal suo ultimo disco (“Ampia”, appunto), dove tempi dispari ed armonie molto ricercate si inseguono e giocano fino a lasciare spazio a melodie solari ed evidenti, ineccepibili.
Io non vorrei dilungarmi troppo, perché davvero spero che questo post, se a qualcheduno capitasse di leggerlo, invogli all’ascolto. Perché Ivan Segreto merita, soprattutto in questo ultimo “Ampia”, trovo che sia un artista di cui si sentiva il bisogno. Altre frasi fatte!
Mi sento quasi infastidito, anche perché era tanto che non scrivevo niente qua, e mi vengono solo banalità. Sarà che sono fuori allenamento. Comunque tra tutte le banalità e frasi fatte e luoghi comuni, non ho ancora detto una cosa molto importante. Essenziale.
Ivan Segreto ha una voce eccezionale.
Una di quelle voci che non ti dimentichi tanto facilmente. Calda, rotonda, precisa, affascinante, ipnotica. Già sul disco si intuisce, ma dal vivo non ce n’è per nessuno. Ascoltàtelo.
Chiù…
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?…);
e c’era quel pianto di morte…
chiù…
~ G. Pascoli
Cosa lieve
Forse baciati dalla luce del tramonto
trasfigurati come di questi alberi
le braccia nude levate al cielo,
rosse come la neve,
o aperti come di nuvole
spazi dorati da cui diffonde
giallo il suono;
anche i miei errori
sarebbero cosa lieve
da portarti in dono.
Giornata di giugno
Lei aveva quei pantaloni marroni, di lino. E i sandali ai piedi. I capelli, neri, raccolti, e sul viso ancora poco sole, ma luminosa la bellezza sfrontata di chi crede in ciò che fa. Scese le scale a fatica, le stampelle ancora estranee, così distanti dal suo essere, così sbagliate in quel giorno caldo d’inizio estate. Entrò nell’automobile, sbuffando e ridendo della sua nuova goffaggine. Si aggiustò la maglietta, marrone anch’essa. Poi disse: «Andiamo», e non ci fu altro da aggiungere. Nient’altro se non la strada.
Durante il tragitto parlammo continuamente, concitati, nervosi un po’. Ricordo le sue mani, sempre leggere.
Non trovammo subito la casa, le indicazioni che avevo non erano precise, e il mio ricordo si era sbiadito. Un viottolo non asfaltato. Polvere -nessuno ti può togliere la tua razione di polvere, in una giornata così calda, e infine il portoncino d’ingresso. Suonai il campanello.
Perché mi devo fermare.
La notte di settembre è diversa. Te ne accorgi subito e non è questione di temperatura, o umidità. Senti che ti stanno portando via qualcosa, forse proprio il cielo, quell’addio è più lontano, le risate si sfocano, passano sullo sfondo, la musica ti lascia pensare. Senti che fa meno male. Settembre. Settembre fa meno male. Una notte che arriva, un giorno che passa, il sole negli occhi, un bacio sulla bocca. Fanno meno male.
Tu mi accompagni
Tu mi accompagni, mi tieni la mano
e il mondo si fa danza senza confini.
Faccio la guardia a questi schermi
immobili. Non ho fucile, ma un elmetto
di idee confuse. L’ombra dei tetti scivola
lenta. Ronzano sciami di parole
nelle orecchie, nelle mani, sotto il sole
di giornate tutte uguali.
Pesa la sua luce, indagatrice
fa ansimare anche il selciato.
Questi sassi su cui nessuno riposa.
Attraversa veloce la strada
un gatto nero come la sete
nero come il mio desiderio.
La vita che merita di essere vissuta
è quella che ti goccia dagli occhi
in lacrime di gioia.
La storia dell’amore
Post atipico, ma voglio segnalare e consigliarvi caldamente questo splendido libro che ho appena finito di leggere, e già ricominciato tutto d’un fiato. Arrivato all’ultima pagina non ho potuto fare a meno di ritornare alla prima, per non abbandonare l’atmosfera e le sensazioni calde, amichevoli, della lettura. Nicole Krauss è la moglie di Jonathan Safran Foer (“Ogni cosa è illuminata”), ma non è solo per questo che mi sono avvicinato al suo secondo romanzo. Una serie di coincidenze mi hanno portato a desiderare di comprarlo, tenerlo in mano, leggerlo.
E mi è piaciuto. Tanto.
È pieno di piccole storie, di fantasia, di invenzioni come piace a me, è delicato e sognante, divertente, imprevedibile, profondo, originale. La trama e i rapporti tra i personaggi – all’inizio apparentemente molto distanti fra loro – sono piuttosto complicati, ma tutto converge, fluido e accompagnato sapientemente da una prosa elegante, efficace, intima, nella scena finale, struggente nella sua viva dolcezza e quasi assurdità.
Parla sì dell’amore, ma parla anche dell’amicizia, della storia, della memoria, della perdita e della difficoltà di comunicare i propri stati d’animo. Della forza e della volontà di lasciare un segno, un ricordo, di non svanire dimenticati. Parla del filo, a volte corto, a volte lunghissimo (magari da un capo all’altro dell’oceano), che ci lega alle persone veramente importantià nella nostra esistenza.
Ieri mattina, guardando i tuoi occhi
ho pensato alle onde maestose
al fortunale da cui emergesti
creatura marina, rigata di sale.
Mentre il sole ti giocava fra i riccioli
e sulla pelle, palpitante di luce,
correvano impazziti i nostri minuti,
ho intravisto il temuto istante
in cui ti scuoterai dal torpore
e con un guizzo ricorderai
di appartenere all’oceano.
Nuove impronte…
Nuove mani quindi?
No, le dita sono sempre le stesse.
Spero 🙂
Benvenuti, o bentornati.
…ho copiato un paio delle ultime cose. non è bello far trovare agli ospiti la casa vuota…
Siamo come bambini
passeggeri silenziosi
con la faccia schiacciata contro il finestrino
a guardare fuori
ci riempiamo gli occhi di velocità e di cielo
aspettando che la vita ci stupisca
di nuovo.
La tua bellezza non mi sfugge mai.
Sei come la libellula che azzurra
mi volteggia accanto, elegante
intoccabile.
Sulle tue labbra, dove sono incastonati
i miei desideri più puri;
sul tuo petto, dove suonano le mie mani
gli accordi più difficili;
tra i tuoi capelli, dove un dio beffardo
ha spezzettato e nascosto le parole che non riesco a dirti;
sul tuo profilo, di neve mai calpestata
vorrei trovare pace.
Ti muovi, sorgi e tramonti
attraversi il mio cielo
e il mio bisogno di te non conosce ombra.
Mi affaccio poi sulla tua notte, curioso
assetato
sfrontato mi prendo tutto il tempo
per ingannarmi da solo, dimenticarti
fingere che tu non esista
e stupirmi ancora di trovarti
in una nuova alba.
Il tuo volo
Il tuo volo non è la fatica elegante
che ci si aspetta. Amiche avare
le correnti ti ingabbiano.
Nel tuo nome la sabbia
la notte e calmo un mare
ti lambisce i piedi soltanto.
Allunghi la mano, ma il Sole che vedi
– la luce buona –
è sempre troppo distante.
Malinconico risuona
nel giorno che finisce
il tuo canto.